Dopo 4 anni di blog su Splinder Parole per dire Anima si sposta causa di forza maggiore. Ringrazio i 23.487 visitatori del vecchio sito dando a loro e ai nuovi il benvenuto nel nuovo blog.

Il cielo è ancora di nuovo azzurro dopo il temporale, di nuovo piccole nuvole bianche galleggiano nello smalto turchese che si intravede tra i rami degli ippocastani. Leggero un vento da Sud mi porta profumi lontani e un ricordo di tempi andati. Vengo da un remoto passato, da un continente scomparso, da memorie tramandate. Vengo da uno ieri lontano, da una distante memoria, da profondità assolute. Vengo da foreste carbonizzate, da oceani prosciugati, da atlantidi sommerse. Vengo da leggende antiche, da strade non tracciate, da un paese dimenticato. Vengo da notti di mille stelle cadenti, da grotte sottomarine, da minareti e ziggurat mesopotamiche. Vengo da fiumi e cascate fumanti, da incendi di praterie, dai giardini pensili di Babilonia. Vengo dagli accampamenti dei pellerossa, da canti intorno al fuoco, dal giro della pipa sacra. Io Vengo dalla pianura di Stonehenge, dai templi di Abu-Simbel, dalla valle di Goreme. Vengo da un sogno di delfino, dalla barriera corallina di Sharm-el-Sheik, e da quella di Marsa-Alam, da Elphinstone Reef e da Ras Samadhai. Vengo dall'isola di Rapa-Nui, dalle piramidi atzeche, e di quelle di Giza. Vengo dal ghiacciaio di Roseg, sulle Alpi dopo S. Moritz, dal castello Bunchrew ad Inverness, dalla caldera di Kallisté. Vengo dai mille monumenti e ruderi di Roma, dalle rovine di Pompei, dalle scogliere delle Isole Faroe. Vengo dalle guglie di Milano, dalle Dolomiti, dalla foresta di Camaldoli. Vengo dalle città sotterranee di Cappadocia, dall'Oceano ad Oporto, dalle paludi di Coto Donana. Vengo dalle piazze di Lecce, dalle scogliere di Finis Terrae, dal mare di Otranto. Vengo dalle sabbie del deserto, dai monti dell'Atlante, dalla via della seta. Vengo da Mont S.Michael, dall’acropoli di Atene dal mare delle Cicladi, dai monasteri delle Meteore dai quadri di Caravaggio, dalle poesie di Neruda e di E. L. Masters, Vengo dal mio sogno di volare, dall'idealismo del Che, dai libri di Richard Bach, dal suo gabbiano Jonathan Livingston. Vengo dai racconti di Eminghway, dalla follia geniale di Picasso dal fortepiano di Mozart, dall’Isola Tiberina al centro della mia città Vengo dalla visione di Tashunta Witko, dalla tragedia del suo popolo, Vengo dalle canzoni dei Beatles, dai tasti bianchi e neri del mio pianoforte, dalle corde delle mie chitarre. Vengo da questi e cento altri posti, vengo da ieri e da domani, dai miei sogni e dalle mie speranze, dai libri che ho letto e dalle musiche che ho ascoltato. Da lontane favole e ballate di druidi e melodie celtiche, da notti di birra e onde di mari e marinai, da amori andati e da volti dimenticati, da amici perduti e amici ritrovati, da segni, sogni, bisogni, da velocità a due ruote e voli a quaranta metri sott'acqua, da cani randagi e altrettanto randagi gatti, da quadri e monumenti, da fuochi, fumi, chitarre e lune, da lacrime, errori, andate e ritorni, da treni, città, Vengo da tutto questo e da molto altro ancora. Vengo da tante altre cose che non riesco a ricordare, ma sono quello che sono proprio per questo, ed è quello che sono che posso darti, e non altro, niente di più o niente di meno, questo e non altro.

sabato 27 aprile 2013

Ti Conosco e ti Ri-conosco

Conosco tutti i sentieri del tuo corpo
Ogni piega della tua pelle è sulla punta
Delle mie dita di musico
Conosco ogni curva ed ogni deviazione
Ogni scorciatoia che porti al tuo piacere.

Conosco tutti i sentieri del tuo corpo di donna
Quelli che nessuno ha mai percorso
E quelli che tu stessa ignori di possedere
Le ineffabili sinuose curve che scendono
E salgono e si incrociano in angoli che il sesso rivela.

Conosco tutti i sentieri del tuo corpo di amante
Ogni minuscola sinapsi del tuo cervello
Ogni papilla della tua lingua
Ogni circonvoluzione delle tue impronte
Conosco tutti i sentieri del tuo corpo di femmina
Ogni goccia del tuo miele e delle tue lacrime
Il ghiaccio disciolto della tua saliva
La forma dei tuoi denti e delle tue unghie
Conosco i sentieri inesplorati del tuo corpo
I sentieri che nessuno ha osato percorrere
E che tu stessa non hai pensato di tracciare
Li conosco come vuoi che io li conosca
Perché tu stessa vuoi che io li scopra
E ne tracci la mappa che mi condurrà al tuo essere.

Catene di metallo lucente e di pensiero acuto
Costruite per tenerti legata e immobile
Usate per forgiare il tuo pensiero
Nel mio pensiero, la tua volontà nella mia
Il mio desiderio a diventare il tuo.
Oltre il tuo stesso desiderio di avere.
Per desiderare sopratutto dare.

giovedì 4 aprile 2013

Love e Lava



Scorre come lava
Rossa e furente la mia brama.
Il silenzio della notte
Amplifica i boati che salgono
Dalle viscere della terra
E giungono alle nostre orecchie.
Se potessi cibarmi di te
Della tua carne oscena e bianca
Delle tua cosce e delle tue labbra
Forse dopo aver cancellato tutto
Come lava che cancella tracimando
Forse dopo, ma solo forse
potrei essere, esausto e vinto, sazio di te.
Ma forse invece, avrei altra forza
Per superare le barriere
Che inutilmente innalzi, costruisci
Per indirizzarmi, domarmi.
Inutilmente e stoltamente
Tenti l'impossibile
Sapendo già che a nulla servirebbe.
Perchè solo la natura può fermare la lava
E non certo l'uomo, o donna può
Così dovresti arrenderti schiava
Dei tuoi desideri frementi
Di essere invasa ed arsa
Bruciata e disossata, incenerita
Dal mio desiderio che del tuo si alimenta.

Ieri era n'artra cosa



Me viè da ride co’i singhiozzi
A ricordamme quante vorte
So' tornato a casa co’ li bozzi
Ma la vera, unica sfida de la sorte
Era riuscinne a venì' fora sano
Da mi madre co’ 'r battipanni ‘n mano.

Circo



Sai?

La vita è proprio come un circo

Leoni e domatori

Pagliacci e spettatori

Chi si maschera per non farsi riconoscere

Ha un sorriso dipinto anche con il cuore in frantumi.

Chi si cimenta come giocoliere

Tra bottiglie frantumate e spade volanti,

Fuochi e funi e fumi

Chi tira coltelli ad un bersaglio

Cercando il modo di mancarlo meglio

Chi per sopravvivere mangia fuoco e vetro

Chi dorme su un letto di chiodi e non si guarda indietro.

C’è quello che per sembrar più bello

Tira fuori conigli dal cappello

E chi muovendo le dita

Ti imbroglia con le carte e con le mani.

C’è l’equilibrista da tutta la vita

In bilico su un filo in cerca del domani

E chi fa correre in cerchio gli animali

Per non correre lui, visto che non ha ali.



E poi ci siamo noi, amore mio,

Trapezisti volanti senza rete e controvoglia eroi

Issati sull’altalena di questa vita

Pur preferendo a volte restare giù seduti.

Sospesi nel buio, su in alto

Nel nero cielo del tendone

Ai due lati della pista

Ci dondoliamo lenti

Inseguiti dalla luce tonda dei riflettori

E dalle tonde bocche aperte

Senza respiro degli spettatori ignari

In attesa del trionfo o della sciagura.

Dell’urlo o del sospiro

Dello spettacolo, comunque.

Ed ora tocca a te

Prendi lo slancio e poi

Ti lasci andare verso il nero ritmico

Del mio oscillare

Un respiro, l’ultimo?

E poi via

Verso le mie mani tese

A raccogliere il tuo volo

E la tua paura.

lunedì 1 aprile 2013

Sogni

Ho ancora sogni nel cuore,
E sempre segni sul cuore,
Ho sempre bisogni nel cuore,
E ancora disegni nel cuore.


Ho ancora mani per costruire,
E sempre un domani da costruire,
E ancora un sogno d’amore per navigare,
E sempre bisogno d’amore per navigare.
E sempre un mare da navigare.


Vorrei avere più potere

per davvero potere,
insegnare le strade

e segnare le rotte,
che rotte seguire
per non perdersi mai
e mai disperdersi
in mille fiumi e fumi.


Avere domani a mille
per mille domani
e lasciare un segno
un segno qualsiasi
che un giorno lontano
possa farti dire,


un giorno

a chi saprà ascoltare

tra mille e più mille giorni
quando il tempo avrà fatto di me
soltanto un ricordo e
un sordo dolore 
di gioia perduta:
"Potete non credermi, ma 
un giorno, io davvero,
Ho conosciuto un Mago."

Se.....

Se avessi il tempo
porterei la tua mente dove
non è mai stata.
Porterei il tuo corpo
dove non credevi mai di arrivare,
e porterei il tuo cuore
dove sognavi di fermarti. 


Se avessi il tempo,
e l'opportunità
di prenderti la mano
porterei il tuo desiderio
oltre l'ostacolo
dei limiti che abbiamo. 


Raggiungere l'orgasmo
col corpo e con la mente,
sentire il corpo separarsi dal reale
e vivere in un'altra dimensione. 


Le tue gambe intrecciate sul mio cuore
le mie mani sui tuoi seni
la mia mente nella tua. 


Fino alla fine
Di un  sogno che
Trasformi la realtà

America prima che fosse America

Paco Ignacio de la Serna
questo è il mio nome.
Marinaio del Re
è il mio mestiere.
Marinaio, e nostromo della flotta di Spagna.
Nato a Bilbao e quindi Basco di natali e di coraggio.
per ordine e volere della Regina
al seguito dell’ammiraglio Colombo
nel suo viaggio di ricerca
di una nuova via verso le Indie.
Oramai partiti, prua ad occidente per raggiungere l’Oriente del Catai
e dimostrare così che la Terra è rotonda o perire nell’Impresa.
Non abbiamo altre scelte che riuscire od annegare
non abbiamo alternative che vincere o morire,
sopravvivere alla vita e alla marea
od affondare nella sconfitta e nell’Oblio.
D’altra parte cos’altro è la vita
se non la ricerca di conoscenza
e una sfida alla morte nel nome dell’immortalità
di un’anima che speriamo di avere
come premio per non arrenderci ?
Andare oltre il conosciuto e il già percorso
seguendo le misteriose rotte
di geroglifici disegni su mappe sconosciute.
Oltre le rotte che seguono gli albatri
oltre le nebbie delle Isole Canarie
questo il compito o il destino mio e dell’equipaggio
ciurma di avventurieri e malfattori
carcerati liberati per mancanza di volontari
prigionieri ora della nave
misurano la libertà in trenta passi per otto.
Coscritti di terra e di cantina, svelti di lingua e di coltello
mendicanti e debitori, assassini e ebrei fuggiaschi
ladri di donne e di denari.
Non  marinai veri che del mare conoscono l’umore e l’ira
la solitudine che danno la bonaccia e la marea
l’odore del sale e di sentina
e il vento che ti porta profumi e colori che mai vedrai.
Non rumori, non suoni, solo lo scricchiolio del fasciame alla chiglia,
solo il fischio di borea tra il sartiame e le cime,
solo lo schiocco secco del fiocco sulla maestra,
solo la chiama delle ore di notte e gli ordini del capitano alla voce,
e poi solo azzurro e silenzio.

/a

Silenzio, solo il ritmico schiaffo delle onde alla chiglia.
Azzurro, solo azzurro intorno
Azzurro il cielo senza nuvole
Azzurro e solo il vento leggero
Ad increspare l’azzurro del mare
Azzurro il mare oceano senza direzione né confine.
Senza un confine che non sia barca od orizzonte.
Orizzonte che non sembra più confine
sempre uguale ed apparentemente immobile
sembra che sfugga lega dopo lega
e che quasi la nave sia immobile in un punto apparente dell’Oceano,
come sembra sia ferma l’acqua di un fiume dall’alto di un ponte
ma invece sai bene che va.
Solo silenzio, azzurro e sole,
sole che brucia e che secca la pelle e gli occhi
che asciuga lingua e gola
finché viene il nero della notte
a spegnere tramonti che incendiano il mare e l’orizzonte.
Silenzio e solitudine, mare che sembra senza nessuna fine
eppure sai che ci sarà un confine,
una spiaggia alla quale approdare, una terra ancora da calpestare
ma ora non c’è altra compagnia che quella della Nina e della Pinta
non donne ma navi che sono partite
insieme alla nostra, la  Santa Maria, dal porto di Palos
e come due gabbiani in coppia ci seguono a mezza lega indietro
a seguire la scia che ci lasciamo indietro come a voler
segnare la strada per il ritorno con la spuma bianca
che dalla chiglia si chiude sull’indice del timone,
ma nessuna scia, niente rimane sulle onde
a segnare una memoria per il ritorno
per quando torneremo a casa
semmai il mare oceano non ci inghiotte
come la Balena il profeta Giona.
semmai torneremo a casa

/b

Se torneremo, lo giuro
Si lo giuro sul dio dei naviganti
Lo giuro che se torneremo
Non vorrò sentire più per la vita che mi rimane
Questo puzzo di sale sulla pelle
Questo gusto salmastro che entra nei polmoni
E che dà sapor di mare
A pane e vino, a notti e bestemmie
Che ci fa sembrare tutti figli di Nettuno
Figli del mare e delle maree.
Si, lo giuro
Se torneremo comincio a fare il contadino
Magari coltiverò la vite
Per farmi il vino e berne a piacimento
E sbronzarmi ogni volta che mi verrà
In mente questo viaggio e questa nave
E quel maledetto giorno che Gonzalo Castro,
(che l’inferno l’inghiotta in quest’istante, ovunque si trovi)
mi venne a cercare alla taverna del porto,
la vecchia taverna della Sasuela,
fianchi stretti e generosi, generosi nel darsi e nel mostrarsi,
zuppe di pesce e di cipolle per pochi denari,
non era proprio casa mia, ma un posto amico, questo si.
E lui, il maledetto, sì Gonzalo
A dirmi e raccontarmi del genovese di corte
Che preparava un viaggio su tre caravelle
Per arrivare nel niente, in oriente forse, raggiungere il Catai
E che la terra è rotonda
E che sarebbe bastato un breve viaggio
Vele verso occidente, prua al tramonto,
per raggiungere infallibilmente l’Oriente.
E che serviva uno come me,
esperto di mare e di terra, per fare da nostromo
sulla nave ammiraglia, e tanto furbo
da non farsi sfuggire nessun segno,
per controllare da lontano l ’ ”Ammiraglio” Colombo
e una volta tornati, riferire a lui, Gonzalo,
trucchi e rotta per l’Oriente,
e in pagamento del servigio,
quaranta pezzi d’oro
e un pezzo di terra in proprietà,
da coltivare a vigneto,
Per farmi il vino e berne a piacimento
E sbronzarmi ogni volta che mi verrà
In mente questo viaggio e questa nave

/c

Se torneremo, lo giuro
Si lo giuro sul dio dei naviganti
Lo giuro che se torneremo
Se torneremo torno a fare il contadino
Magari coltiverò la vite
Per farmi il vino e berne a piacimento
E sbronzarmi ogni volta che mi verrà
In mente questo viaggio e questa nave
Che sembra piantata con chiodi e catene
In una pozzo di fango, invece che correre sul mare.
Son dieci giorni, credo,
(perché anche il tempo non cammina più con lo stesso ritmo)
Son dieci giorni, sono sicuro
Che siamo qui come incollati con pece e gomma arabica
In questo mare di alghe e melma puzzolente
E pendono come tende a una finestra
La maestra ed il trinchetto, il genoa e il pappafico,
come impiccati ad un albero dondolano col dondolare delle onde
aspettando che un dio qualsiasi soffi per riempirle
e farci ripartire.
E tutto è fermo come il vento, fermo il tempo
Non più il susseguirsi dei minuti in attesa di altri istanti.
Fermo, immobile, quasi una maledizione c’abbia colpiti.
Non oggi , né ieri, tantomeno domani
E ricordo le parole ascoltate dai filosofi del tempio:
“ Ieri  è andato e quindi non esiste
Domani ancor non è e non si sa se è o ci sarà, quindi non esiste
Oggi è un tempo in mezzo a due cose inesistenti
E quindi di fatto non esiste.
Non è forse impossibile dire esattamente ORA
Che il medesimo istante nel quale pronunciamo la prima lettera “O”
È già passato quando pronunciamo la seconda “R”.
Di fatto anche l’adesso è un illusione,
ed essendo un illusione non esiste.”
E siamo ancora qui,
piantati come spaventapasseri in un campo di grano
ad aspettare i corvi,
ad aspettare un tempo che non c’è.
Melma intorno alla chiglia ed al timone,
Alghe che incollano lo scafo al mare immobile
La nave dondola stanca d’esser ferma
I marinai stanchi di pregare o bestemmiare (che poi è lo stesso)
E il vento che non arriva, inutile bruciarsi gli occhi
A cercare una nuvola che porti un po’ di movimento in cielo e in mare
È di nuovo, ancora, notte.
E basta.

/d

D’un tratto, come se finalmente dio
(Che non ho mai capito bene che vuol dire)
Siamo noi a dio a condurre la nostra vita?
Perché se è lui, e non noi a decidere la strada
O se forse solo sa già come va a finire
Allora il gioco è truccato
E siamo seduti ad un tavolo a giocare con carte segnate
E non possiamo neanche cercare di barare,
(chi da le carte, conosce anche le nostre)
E allora, se tutto è già deciso
Perché sforzarsi di cambiare
La sorte ed il destino.
D’un tratto, dicevo, come se finalmente dio
Si fosse destato dal suo sonno
Muovendosi di scatto, forse sbuffando per quella noia
La notte, non era ancora l’alba, s’è come risvegliata
Leggero, dapprima quasi un sospiro, un soffio.
(Ero di turno alla coffa)
L’ ho visto arrivare dal leggero increspare
Del lucido specchio del mare
Quasi un tremolio sul riflesso della luna
Un movimento come di foglie
Un profumo diverso nell’aria
E un velo leggero sul disco della luna lì in alto
NUVOLE ! VENTO!
E’ solo un refolo in effetti,
Ma è vento! E’ segnale di tempesta, lo so bene !!
E qualcun altro se n’è accorto
Il soffio s’alimenta sul brusio che sale dalla tolda e dal tambuccio
E sveglia col respiro che porta da lontano altri marinai
Ed altri ancora si svegliano e lanciano richiami
Che il vento cresce e comincia a scuotere la nave
Ed anche gli ultimi ormai son svegli
E si danno di gomito l’un l’altro
Che sanno che sarà un giorno diverso
Quello che sta sorgendo ad oriente
Che tinge d’oro rosa la notte e il mare
“Dai svelti, molla tutto!!
Non perdiamo tempo,
Che fanno quelli della Pinta e della Nina?
Non vedi? Hanno già mollato trinchetto e maestra,
Forza, che il Vento, come la vita,
non si ferma certo ad aspettarci davvero
Non torna certo indietro.
Mai.”

/e

E il vento ha spazzato il ponte incollato di sale
Scosso le cime penzolanti dalla maestra.
E il tintinnio dei bozzelli all’albero
Accompagna il ritmo degli schiaffi delle onde alla chiglia
Sbattono le vele, il fiocco e la mezzana alzano le ali
La maestra, il velaccio e il belvedere,
schioccano gli stralli e le briglie,
e dondola improvvisa la nave,
come culla appena sospinta
S’è animato all’improvviso il ponte
Svaniti i fumi del vino e della noia
Si gonfiano all’improvviso la maestra ed il trinchetto
E la nave torna a vivere, essere che sembra respiri sulle onde
Sembra che le sua ossa si schiantino insieme al fasciame arrugginito
Si sveglia l’equipaggio addormentato,
Cerca con gli occhi il capitano
Pronto ad eseguire l’ordine agognato
“Drizza il pappafico, molla tutto, poppa al vento e alla via così.”
Quel maledetto di Colombo!!
Oggi era il terzo giorno,
L’ultimo giorno concesso all’attesa,
L’ultimo lasciato al suo volere,
l’ultimo concesso dalla ciurma armai ammutinata,
“Se entro tre giorni non si leva il vento propizio,
entro tre giorni dico, sarò vostro prigioniero,
e potrete far rotta indietro, o per dove vorrete”
Così s’era giunti all’accordo
Con la ciurma quasi ammutinata,
Coi comandanti scoraggiati.
Tre giorni
E poi finalmente prua indietro……
A casa.
Tre giorni
Come Lazzaro nel sepolcro, per ritornare a vivere
O rimanere prigionieri del mare e della morte
Comunque di qualcosa che non puoi governare
Sulla quale non hai potere
E forse per questo, proprio per questo
Ti gela il sangue alle vene
Ti spezza il respiro e asciuga gli occhi e la gola.

/f

Oggi era il terzo giorno,
e già si discuteva in fondo alla cambusa,
tra le murate e le sartie,
di quale rotta prendere,
verso quale stella dirigere il timone,
e le voci si mischiavano alle voci,
e chi più grida è chi ha più paura:
“ Levante!, Ostro.!!, No! si volge la prua ad oriente,
siamo andati per giorni e giorni ad occidente!!!
ma no! marinaio di terra!!! e lo scarroccio?, la deriva?
Non consideri il senso del vento di Alisei?
Ma non vedete?!?!?!, siamo fermi!
Questo mare oceano d’erba, maledetto,
ci tiene come collapece attaccati alle onde
come mosche al miele, come cani alla catena, come cavalli alla cavezza……..”
e d’un tratto, non era ancora giorno
un soffio, come un sospiro da lontano, un respiro trattenuto
e il vento s’è levato, corrono
come aquile di mare le navi,
saltano come delfini sulla schiuma
che già si alza dalle onde
e come delfini si inseguono alla scia;
ecco la Nina che sorpassa la Pinta
e noi dalla Santa Maria davanti a tutti,
a cercare con gli occhi la porta chiusa
della cabina dell’ammiraglio Colombo,
Chiusa, rimane chiusa, e non servono le grida di gioia
Che dalla tolda si levano verso le altre navi
A chiamare chi è amico,
a saltare per farsi meglio vedere,
a chiedere, a chi è più anziano,
cosa fare, dove andare, ormai padroni del mare e della nave,
ché Colombo chiuso nella cabina non vuole uscire
e siamo liberi di andare…………
ma non sappiamo dove.
Non sempre i più vecchi conoscono la giusta risposta,
la giusta soluzione,
non sempre essere liberi vuol dire saper cosa fare,
quasi sempre abbiamo braccia troppo corte per raggiungere i nostri sogni
per realizzare i nostri stessi desideri.

/g

Ed ecco, finalmente, si socchiude l’uscio
E d’improvviso i soli rumori che è possibile udire
Sono il sospiro del vento tra le vele,
il gorgoglìo della spuma alla chiglia
ed il cigolio della porta e del fasciame,
il battere ritmico delle cime e dei bozzelli sugli alberi,
noi quasi smettiamo di respirare
soffocati dal battere ansioso del cuore
nella gabbia del petto,
e lui, Colombo, vaga con lo sguardo intorno a cercare
con gli occhi gli occhi di chi fino a pochi attimi prima
malediva lui e tutti gli dei che lo tenevano in vita,
anche io passo sotto i suoi occhi di carbone,
Sembra che ti legga l’anima quel genovese figlio del demonio
E poi sorride.
Sorride come se ridesse delle nostre paure,
dei timori di noi ignoranti superstiziosi
come se avesse sempre saputo fin dove
spingere le nostre disperazione e paure.
E un grido d’urrà s’alza da poppa
Dai marinai legati alla coffa, in testa d’albero
Ritorna Urrà! Viva l’ammiraglio
Evviva il nostro comandante,
il padrone dell’oceano, signore dei venti
amico d’Eolo, lui che legge le stelle meglio della Bibbia
che ha in cabina
Viva il comandante!
E lui davvero figlio del demonio
Ride di sollievo e di noi.
Ed un pensiero mi balena d’improvviso..
Tre giorni e poi saremmo potuti tornare indietro
Indietro aveva detto (il figlio del demonio)
Ma indietro, e come.
Non c’era vento.
Ma non vedete?!?!?!, siamo fermi!
Questo mare oceano d’erba, maledetto,
ci tiene come collapece attaccati alle onde
come mosche al miele, come cani alla catena, come cavalli alla cavezza……..”

/h

Ci aveva giocati alla grande
Aveva truccato le carte
Sapeva già quelle che avevamo noi in mano
Perché se è stato lui, e non noi a decidere la strada
O se forse solo lui sapeva già come sarebbe andata a finire
Allora il gioco era truccato
E siamo stati seduti ad un tavolo a giocare con carte segnate
E non potevamo neanche cercare di barare,
(chi dava le carte, conosceva anche le nostre)
E allora, se tutto era già deciso
Perché sforzarsi di cambiare
La sorte ed il destino.