Dopo 4 anni di blog su Splinder Parole per dire Anima si sposta causa di forza maggiore. Ringrazio i 23.487 visitatori del vecchio sito dando a loro e ai nuovi il benvenuto nel nuovo blog.

Il cielo è ancora di nuovo azzurro dopo il temporale, di nuovo piccole nuvole bianche galleggiano nello smalto turchese che si intravede tra i rami degli ippocastani. Leggero un vento da Sud mi porta profumi lontani e un ricordo di tempi andati. Vengo da un remoto passato, da un continente scomparso, da memorie tramandate. Vengo da uno ieri lontano, da una distante memoria, da profondità assolute. Vengo da foreste carbonizzate, da oceani prosciugati, da atlantidi sommerse. Vengo da leggende antiche, da strade non tracciate, da un paese dimenticato. Vengo da notti di mille stelle cadenti, da grotte sottomarine, da minareti e ziggurat mesopotamiche. Vengo da fiumi e cascate fumanti, da incendi di praterie, dai giardini pensili di Babilonia. Vengo dagli accampamenti dei pellerossa, da canti intorno al fuoco, dal giro della pipa sacra. Io Vengo dalla pianura di Stonehenge, dai templi di Abu-Simbel, dalla valle di Goreme. Vengo da un sogno di delfino, dalla barriera corallina di Sharm-el-Sheik, e da quella di Marsa-Alam, da Elphinstone Reef e da Ras Samadhai. Vengo dall'isola di Rapa-Nui, dalle piramidi atzeche, e di quelle di Giza. Vengo dal ghiacciaio di Roseg, sulle Alpi dopo S. Moritz, dal castello Bunchrew ad Inverness, dalla caldera di Kallisté. Vengo dai mille monumenti e ruderi di Roma, dalle rovine di Pompei, dalle scogliere delle Isole Faroe. Vengo dalle guglie di Milano, dalle Dolomiti, dalla foresta di Camaldoli. Vengo dalle città sotterranee di Cappadocia, dall'Oceano ad Oporto, dalle paludi di Coto Donana. Vengo dalle piazze di Lecce, dalle scogliere di Finis Terrae, dal mare di Otranto. Vengo dalle sabbie del deserto, dai monti dell'Atlante, dalla via della seta. Vengo da Mont S.Michael, dall’acropoli di Atene dal mare delle Cicladi, dai monasteri delle Meteore dai quadri di Caravaggio, dalle poesie di Neruda e di E. L. Masters, Vengo dal mio sogno di volare, dall'idealismo del Che, dai libri di Richard Bach, dal suo gabbiano Jonathan Livingston. Vengo dai racconti di Eminghway, dalla follia geniale di Picasso dal fortepiano di Mozart, dall’Isola Tiberina al centro della mia città Vengo dalla visione di Tashunta Witko, dalla tragedia del suo popolo, Vengo dalle canzoni dei Beatles, dai tasti bianchi e neri del mio pianoforte, dalle corde delle mie chitarre. Vengo da questi e cento altri posti, vengo da ieri e da domani, dai miei sogni e dalle mie speranze, dai libri che ho letto e dalle musiche che ho ascoltato. Da lontane favole e ballate di druidi e melodie celtiche, da notti di birra e onde di mari e marinai, da amori andati e da volti dimenticati, da amici perduti e amici ritrovati, da segni, sogni, bisogni, da velocità a due ruote e voli a quaranta metri sott'acqua, da cani randagi e altrettanto randagi gatti, da quadri e monumenti, da fuochi, fumi, chitarre e lune, da lacrime, errori, andate e ritorni, da treni, città, Vengo da tutto questo e da molto altro ancora. Vengo da tante altre cose che non riesco a ricordare, ma sono quello che sono proprio per questo, ed è quello che sono che posso darti, e non altro, niente di più o niente di meno, questo e non altro.

venerdì 8 ottobre 2021

Megalexandros


Megaexandros



C’è stato un tempo,
quando le mie forze sembravano infinite,
Era un tempo lontano,
quando guardavo il tramonto dalle mura di Pella,
C’è stato un tempo,
quando sembrava potessi avere mille vite,
Era un tempo nel quale
l’unica cosa che non potevo avere era una stella.

C’ è stato un tempo,
quando ogni cosa era mia, bella e serena,
Era un tempo perduto,
quando ascoltavo a bocca aperta la mia Guida,
C’è stato un tempo,
quando la mia brocca era sempre piena,
Era un tempo senza fine,
quando Aristotele era il confine e una sfida. 

C’era un tempo e non c’è più, ogni istante andato, svanito, ormai  perso
Stupida natura di essere uomini, cercare il domani nei sogni di oggi e nella sorte
Sapendo che ogni istante porta in grembo Il destino della sua stessa inevitabile morte.
Ogni secondo muore in se stesso, come un temporale si scioglie in un cielo terso

Vivere ogni istante senza fermarmi mai, questo il mio solo scopo,
Che la filosofia mi aveva insegnato che non ci sono alternative a questo:
Il divenire che tutti temiamo (anche gli dei invidiosi) non avrebbe avuto resto.
Correre in avanti qualsiasi sia la strada, sfidando sempre e comunque il dopo.

C’è stato un tempo,
quando correvo come e più del vento sul mio cavallo,
Era un tempo svanito,
quando non mi bastavano delle mie terre i confini,
C’è stato un tempo,
quando il mio solo pensiero era superare lo stallo,
Era un tempo preciso,
eppur non distinguevo le notti dai mattini.

C’era un tempo,
quando il destino non era segnato dalla pazzia di un oracolo,
Era un tempo illimitato,
quando le spade erano bronzo lucido foriere di morte,
C’era un tempo,
quando non temevo nulla e nessuno sapeva essermi ostacolo,
Era un tempo, senza limiti
quando sapevo costruire con le mie mani la mia sorte.

Ora qui a Babilonia, ho ancora vicini i miei amici di sempre da sempre fratelli,
Morì, mio padre Filippo il grande, il conquistatore, morì pugnalato, ucciso,
E ora dopo gli anni passati, nello specchio guardo il mio volto e vedo il suo viso,
Son qui, è quasi estate, e tra regnare ancora e morire scelgo il minore dei fardelli.

Cosa sarà di me dopo che questo dolore mi avrà ucciso e sarò sepolto?
Cosa si dirà di me quando volgendo le spalle ad ovest il mio regno sarà senza confini
E dei miei amori e delle mie conquiste, quale dei mie amori dalla storia sarà tolto?
Ho sempre sfuggito il tempo e la sua legge, strappare alla sua mano rapace i nostri destini.

C’era un tempo,
quando niente contava, niente aveva valore se non le mie voglie,
Era un tempo rallentato,
sembrava non dover finire mai e proseguire  eterno,
C’era un tempo,
quando cercavo l’amore, che fosse Efestione, che fosse mia moglie,
Era un tempo dilatato,
con confini solo nel sogno e nella volontà, come il regno che governo,

C’era un tempo,
quando davanti ai soldati, in groppa a Bucefalo ero più di un re, ero un dio,
Era un tempo che ho costruito
e che non ho sconfitto, perché il tempo non finisce mai,
C’era un tempo e oltre me ancora ci sarà,
Era un tempo che non vedrò finito
il solo che mi ha battuto, ridendo di me, per sempre, ormai.

Ci sarà un tempo diverso, uno che non so.
E non sarà più il mio e che non vedrò.

Non penserete che mi importi delle vittorie o delle battaglie vinte, dei nemici uccisi?
Dei tesori, delle donne, dei palazzi o delle sterminate folle e del re dei re umiliato?
Credete che le lacrime che verso siano per la vita che perdo, per l’ultimo commiato?
Rimpiango me stesso, bambino senza freni, la vita davanti e le corse nei campi tra i fiordalisi.

Rimpiango il bacio che non detti, la carezza che mancai, la lacrima, l’ultima voglia,
Ripenso al tempo perso in inutili conquiste di popoli, di terre, ai valorosi amici morti,
La voce che mi trema è solo per lo stupido uomo che ero e sono stato, per i miei torti,
Niente rimane, solo il ricordo di chi ci ama e chi ci ha amato, e il suo triste pianto oltre la soglia.

mercoledì 14 aprile 2021

Nessuno ritorna





a/
Partito, salpato, di nuovo ho preso il mare,
Cancellate le paure, rotti gli indugi, sciolti gli ormeggi,
Ho aspettato il vento giusto e, finalmente,
Sento sotto i miei piedi il respiro consueto di Nettuno.
 
Dopo anni (troppi anni) di polvere e sassi,
Di campi di battaglia e carri falcati,
Di imboscate, notti di incubi e foreste buie,
Di tetti di tenda e capanne e padiglioni di comando.
 
Avrò per alberi solo quelli che reggono le mie vele,
Avrò per tetto solo la volta mutevole del cielo,
Avrò per buio solo quello della notte,
Per vento quello che mi riporta a casa,
 
Per sudore quello che sale dal sale del mare,
Solo per sogni avrò quelli di sempre.
 
Avrò per terra il fasciame lucido del ponte,
Per cavalli quelli con la criniera di spuma,
Per orizzonte non mura, ma la curva di Oceano,
Solo per sogno avrò il solo di sempre.
 
Il solo sogno di sempre (da quando sono partito):
Tornare.
 
b/
Tornare.
Ero appena partito, Itaca biancheggiava all’orizzonte
E già volevo tornare, già non mi interessavano più
La voglia di avventura e il mio orgoglio di astuto eroe
La fama eterna e la ricchezza,
(Figurarsi la vendetta verso Paride).
 
Già mi mancavano l’odore delle sughere e le olive,
Il lentisco, il timo e il rosmarino, il belare delle pecore,
La mano forte di mio padre e il sorriso triste di mia madre,
La mia vigna ancora si intravedeva fra la macchia,
E io già speravo il ritorno a casa, la nostra casa.
 
Già sentivo il vuoto delle sue labbra, dei suoi occhi,
Del bianco dei suoi denti e i suoi neri capelli di notte,
Del suo incredibile profumo di trifoglio fresco,
Già deliravo per l’assenza delle sue parole, dei suoi sorrisi
Dei suoi seni rotondi e delle sue cosce d’amante senza pari.
 
Non era ancora passato un giorno dalla partenza
E già sognavo di tornare da Penelope la bella amata
E già volevo tornare alle sue mani e ai suoi piedi perfetti,
Chiederle perdono, per lasciarla sposa e sola con una sola alternativa:
Attendere il mio ritorno o la mia assenza eterna.
 
Attendere, lei (già madre) anche per me (non ancora padre)
Che nostro figlio nascesse ed io avessi così un erede
Al quale lasciare i miei sogni e la mia terra,
Al quale chiedere di ricordare le mie azioni e le bugie
Un figlio che fossi nuovamente io per l’eternità.
 
Il sogno di sempre per ogni uomo che sogna:
Essere immortale.
 
c/
Miglia di mare e migliaia le onde
A segnare il sentiero mutevole sul mare
Spuma come traccia dal timone
Mille i giorni e mille le notti
Da quando ho preso il mare
(o forse è lui che ha preso me?)
 
Mille le navi degli Achei quando partimmo,
Sole nel sole le mie navi ora
Sentieri tracciati da tempi immemori
E da immemori naviganti ed eroi
Mi conducono verso lidi sconosciuti
Verso ignoti paesi, passaggi e paesaggi
 
Lontano da rotte conosciute, oltre i confini del mondo,
Mi portano vento e tempesta e la volontà di dei crudeli,
E nessuno sa dirmi dove siamo e dove andiamo,
Siamo, nelle navi, come naufraghi della vita.
(Nessuno sa da dove veniamo prima di nascere
Nessuno torna dall’Ade a dirci dove andiamo dopo la morte).
 
Prigionieri di un destino segnato da tempo
I miei fidi compagni e me, oltre il sangue fratelli,
Percorriamo maree e rotte senza precedenti.
Abbiamo incontrato Maghe e Sibille, Mostri e Giganti
Schiavi, Sirene e fantastici animali e popoli stranieri
In un cerchio di anni senza fine che non ci mostra arrivo.
 
Il sogno è sempre lì difficile da vedere da svegli:
Ritornare.
 
d/
Ritornare, da vivi (certo non solo in sogno ai nostri cari)
Sembrava facile salpare dal lido d’Ilio (ormai vinta la guerra)
Sciogliere le gomene come trecce di donna
E lasciarsi andare al largo, mollare le vele al vento,
Come il passato alla memoria.
 
Ma il passato lascia segni come l’aratro alla terra,
E i cattivi ricordi segnano l’oggi come artigli alla pelle,
Come aquila di Prometeo, come cicatrici sempre aperte,
A spargere sangue e riformarsi lasciando solo illusione,
Che possa terminare, finire per morire o rinascere.
 
Ma l’unica risorsa, il solo modo di vincere i ricordi negativi
È vivere per l’oggi, tenere la barra del timone ferma nella mano
Saggio del passato e non suo schiavo, se serve farsi legare, sordo all’albero
Temendo le Sirene, fissare con lo sguardo sempre avanti
E avere una compagna che ti aspetti, fedele, per il resto dei tuoi giorni.
Così volevo tornare, volevamo tutti tornare indietro
ritornare a casa alle mogli, ai figli, alle campagne,
Ma sembrava impossibile seguire il vento,
Come perdute le nostre capacità di marinai,
Smarrite le rotte consuete, le conosciute maree.
 
Come avessimo perso nel labirinto immenso del mare,
(Nel labirinto senza muri visibili ma non immobili del mare)
Il filo della matassa di Arianna ad indicarci la giusta via.
Naufragi e sventure, da chissà chi decise e disegnate,
Deviavano il nostro cammino, confondevano i venti.
 
Eppur la rotta era sicura, favorevoli gli Oracoli e gli Indovini,
Concordi erano stati tutti i nostromi e i comandanti delle navi,
Facile seguire sulle carte il percorso migliore da seguire
Precise le indicazioni di chi ci guidò all’andata,
Non troppo lungo il viaggio, netto il disegno:
 
Costeggiare il Ponto e poi rotta a sud verso Ellade,
Per le coste amiche del tramonto di Lesbo e Chios e Samos,
E ancora per le scogliere delle mille isole di Cyclades,
La bianca Naxos e la nera Thera Kallistè e ancora a nord.
Verso le coste del Peloponneso che casa è vicina.
 
Risalire a nord verso borea lasciando la terra ad est,
Navigare lungo costa per arrivare a Cythera, Schiza e Calamata,
E poi a Pyrgos sacra ad Olimpia e infine Zachintos e Cefalonia,
E alla fine, col rosa dell’alba che colora il monte
Avremmo visto con i nostri occhi, stanchi di azzurro, Itaca la bianca.
 
E il sogno che da dieci anni ci inseguiva si sarebbe realizzato:
A casa.
 
e/
Casa come approdo, come porto senza altra partenza
E nella casa il mio mondo, la reggia e la mia vita di prima
Di prima di una guerra che sembrava a tutti eterna
La vita che ho sperato di ritrovare intatta tra le mani di lei,
Come sola ricompensa per il mio ritorno.
 
Ma ora, nella sera, mentre scrivo queste parole
Qui ospite della giovane Nausicaa
Mi rendo conto dell’inganno degli dei:
Se anche tornerò, se anche dovessi riuscire a tornare
(si salpa di nuovo domani)
Se anche dovessi di nuovo vedere le mura di Itaca all’alba
(se non perissi nel ritorno)
 
Non tornerò a me stesso, non sarà la vita di prima che troverò
Ho perso tutti i miei compagni, (divorati dal mare o dalle fiere)
Perso le navi e le ricchezze, la gloria e la gioventù
 (vent’anni son passati)
Persa anche la memoria delle imprese, persi gli eroi e i giorni di un tempo
Persa la vita di mia moglie e persa anche la fanciullezza di mio figlio
(se ho ancora una moglie e un figlio).
 
La vita è andata via, inseguendo sé stessa in volute concentriche
Cercando altrove quello che stava in quel stesso momento accadendo
Mentre inseguivo me stesso nei miei stessi sogni
La sabbia si spargeva dalla coppa della clessidra della Vita,
La Vita scorreva via dal Tempo, il Tempo fuggiva via senza rimorso.
 
E cosi stasera, nella reggia amica dei Feaci,
ho imparato quello che in vent’anni non son riuscito:
La vita è un viaggio di sola andata, un’avventura senza ritorno
Non esistono mappe o rotte da seguire,
Ogni istante andato è un istante perso che non si ripete,
 
Come ogni onda allo scafo è un’onda nuova anche se
Ha il medesimo suono che inganna l’orecchio.
Ogni gesto è irripetibile e non replicabile
Ed ogni ritorno è una illusione d’immobilità.
Ogni sorriso una nuova promessa.
 
f/
Tornerò, ora lo so! Tornerò ne sono certo!
Ora che ho finalmente imparato la lezione degli dei,
Ora so che rivedrò la casa e i miei,
Il mio letto ed il mio cane, mia moglie e la mia reggia,
E negli occhi di mio figlio rivedrò me stesso.
Mentre Penelope non saprà se fidarsi di uno straniero
 
Ma guarderò i suoi occhi stanchi di pianto e notti insonni,
E riconoscerà nel mio sorriso il giovane che ero,
Stringerò le mani e i suoi seni, succhierò le sue labbra e la lingua,
E non ci sarà bisogno di parole (ché le parole sanno ingannare),
Sentirò il mio cuore fermarsi e ripartire con il ritmo del suo cuore
Perché è quello il suo vero ritmo e a quel ritmo vivrò.
 
Terrò le mani sull’aratro e con la lingua inciterò i buoi,
E con la mente alle battaglie e la memoria ai fratelli,
Insegnerò l’onore a mio figlio tenendolo per mano
(Ma l’onore vero non quello fittizio dei guerrieri),
Che il vero onore è saper dire: Ho sbagliato e lo confesso,
Non mi scuso per l’errore (le scuse non posso bastare)
Saprò trovare nei tramonti la traccia di nuove diverse albe,
E cercare nelle piccole cose senza senso il senso della vita.
 
Perchè il Viaggio è il vero motivo del partire e non l’arrivo,
Che il vero senso della vita è viverla per intero anche senza motivo,
Nonostante il tempo sprecato e delle bugie giurate,
A dispetto degli dei e della pioggia che rovina i campi,
Contro i dolori e gli accordi traditi e gli amori e le promesse,
Cose che pur sapendole non s’imparano mai.
 
Malgrado le rughe alla fronte e l’imbiancarsi dei capelli
La verità della vita è andare, cercare, sfidare chi tira di dadi,
Oltrepassare le colonne d’Ercole (forse) e tornare.
Sapendo che non c’è altro oltre la vita, che la morte è la fine,
E che non ci sono altri inizi che ci diano altre possibilità.
 Altre partenze.
Nessun ritorno

domenica 31 gennaio 2021

Crepuscolo in volo


In quest’istante di crepuscolo imminente
la sera si spande tra gli ippocastani
come inchiostro blu di Prussia in un bicchiere d’acqua
cancellando ogni cosa, ogni riflesso
con il nero della notte che avanza.

Inutilmente cerco di frugare oltre le ombre
con i miei stanchi occhi di marinaio.
Ci saranno altre albe di rosa e argento
altri mattini di azzurro ocra calore
ancora ci saranno altri tramonti arancio metallo
vedrò ancora il bianco delle nuvole
stracciarsi con il soffio furente di un vento del sud.

Inutilmente tento di disegnare con mani di musico
Quello che vorrei chiamare futuro

Ma quest’istante esatto preciso e veloce
quest’attimo nel quale la tua mano stringe la mia
e i tuoi occhi si chiudono spalancati nell’estasi
del tuo sorriso che torna innocente alle labbra umide di me
quest’istante non sarà mai più per tutti i tempi a venire.

Inutilmente cercherei di fermarlo e trattenerlo
Con la rete delle tue ciglia di ombra e luce.

Così non ci resta che stringerci forte
ancorarci a questa piccola vita che vola veloce
lasciare che i sogni corrano per noi oltre i giorni
ma non troppo da non potere raggiungerli
allargare le ali e le braccia e aspettare il mattino.

giovedì 9 luglio 2020

Pasquinata nummero ddue


L’artro giorno pe la gran fretta ho lasciato ‘na cosa a metà e gnente me da più rogna
De ‘na storia rimasta senza fine o de ‘na cosa cominciata e che nun è chiarita
Nun vojo artro che lascià usci’ dar petto quer che me sento e che la mente sogna
Prometto, nun vojo certo di’ chi sa cche, ma solo di’ du’ cose ‘n fila e poi falla finita.

Me manna ai pazzi o pe’ dilla come quarcun’artro me ‘ncavolo come ‘n alligatore
Io davero divento ‘n artra perzona quanno qualcuno se vo ‘ntromette dentro li fatti mia
Quanno sento blaterà come santoni ‘sti du’ pupazzi che spareno sentenze da ‘r televisore
Quanno qualcuno se prende ‘r diritto de di’ quello che dovrei da fa’ o come, e cosi via.

Vojo di, e vengo dritto ar punto, e forze me manca ‘r comprendonio pe’ pote’ capi’
Ma me lo sapete da spiegà forze voi ‘ndo sta ‘r delitto ne’ l’usa’ le staminali pe’ sudia’
Le peggio malattie, pe’ cerca’ de ariva’ ar momento de pote’ di a ‘n malato:”forze poi guari’!”
Solo usanno le cellule nun pe’ fa’ ‘sperimenti o chi sa cche ma pote’ drento a le malattie guardà?

Ora ce dicheno quelli che sanno tutto e i preti che parleno bene drento ar teleggiornale
Che così se scopre ‘n dente dolorante, che solo ddio c’ha ‘r potere de prenne e dà
Che le malattie nun so’ ‘na cosa bbrutta, ma so ‘na prova che lui ce da pe’ capi’ ‘r male
Ora ve chiedo ma si le malattie so’ solo ‘na prova der disegno divino e de la sua granne carità

Me sapete da spegà voi, perché li preti, pe nun parlà der papa, vescovi e de li cardinali,
Quanno s’ammaleno se pijiano l’aspirina, l’antibbiotiotichi o se ne vanno ‘n de lo spedale?
Nun dovrebber cosi comme la predicano lascià a la grazzia divina de guarilli da tutti li mali?
E tanto più nun dovrebbero bandi’ le cure, le ‘nfermierie, le medicine buttalle ‘n der canale?

Ma così nun fanno, so’ preti mica so’ matti, so bravi a predica’ er comandamento vero
E ce lo sanno che ste staminali nun so solo ‘na speranza de’ ‘na cura e che nun è blasfemo
Cerca’ la distanza de la parola da la pratica, tra dire e ‘r fare, tra vive e annassene ar cimitero
E che se ddio ce fosse o fosse svejo je ricorderebbe certo che vive è l’unica cosa che c’avemo.

E a predica’ bbene e male a razzolà so capaci tutti, cristiani e no, e che nun serve esse’ ddio ‘n tera
Che poi a vedella tutta me sembra ‘n antra bella prova d’ orgojio e de’ ‘na granne presunzione
Nun mettese mai a la prova, e vive tutto quatto e riverito ner velluto, bagnasse a l’acquasantiera 
E di’ p’esse’ veri cristiani devi da fa’ cosi’, segui’ i’ regolamenti che tte dico io e fa la communione.

Io forze nun c’ho er giusto cervello, me sembra strano tutto e quello che nun capisco sempre me puzza
Ma me sembra assai granne la distanza tra la parole e li fatti de quer povero cristo morto ‘n croce
E come se comporteno quelli che dovrebbero esse l’eredi sua e me ricorda la storia d’ ’a pajuzza
Se scordeno sempre ‘r palo che c’hanno drento l’occhio e additano er tuo bruscolo a gran voce.

Quello che vojo di ‘n fonno è morto semplice e chiaro: a parlà so boni ‘n tanti, li  belli e i brutti
Cristiani, Ebbrei, Indù, Atei, Cinesi, Taoisti, Buddisti e Mussulmani e se ce n’hai quarc’ artro fatte sotto
Ma nisuno de quelli che commanda c’ha ‘r coraggio de scenne ‘n prima fila e da l’esempio a tutti,
De nun fasse curà si c’hai bisogno o de mettese la cinta co’ le bombe e d’esse lui ‘na vorta a fa ‘r gran botto.

Ce so’ troppi generali e poche truppe, troppi a detta’ legge e pochi rimasti a rispettalla
Verà, nun po’ manca’ davero morto che a quarcuno je sarta ‘r ticchio de fa’ piazza pulita
De fa ‘n modo de riprennese ‘a verità e nun falla gesti’ a ‘sti quattro magnaccia sempre a galla
E fa’ davero come comanna ddio : “ama e rispetta ‘r prossimo tuo comme te stesso”. 
Questa è la Vita.

lunedì 4 maggio 2020

Pasquinata


C’ho ‘na domanda ‘n core che me s’arza drento e vo venì fora
Io proprio nun riesco a capì come se po’ penzà, chiede, concepì
Che quarcun’atro decida da pe tte si sei ‘ngrado de capì
Se la perzona con la quale vivi è tu moje o tu marito e se è l’ora
Che la senti l’unnica pe tte, se è er caso de daje la penzione
O lasciaje la casa si lo voi, oppure se i tu fiji c’hanno er diritto
De esse uguali all’atri che so nati da ‘n vero matrimonio scritto

Ora ce lo so certo che qualcuno nun sarà d’accordo a me va be’ tutta la ggente
Ma quello che me manna ar manicomio è se io a lui nun je dico gnente
Perché lui a me me deve da ‘nsegnà quale la cosa giusta pe mme e bbasta?
Se lui se vo sposà na vorta ‘n chiesa, fa sette fiji e er bravo paparino
Facesse quer che vole, fa benissimo, ma se puta caso io amo …Nino
Saranno fatti mia oppure no? Oppure l’amore è na cosa a un senso e bbasta?
E cosa cambierà mai ‘na firma ‘n Campidojo.. si firmo c’ho ‘r diritto si no nun so ‘n vero cittadino?

A me me sembra tutto ‘n manicommio, nun ce se capisce gnente,
Er tale senatore è du vorte divorziato vive moreuxorio ma è contrario
A chi vo’ vive come lui, che pija magara li sordi dallo stato pe’ due o tre lavori sparsi
E te credo che po difenne le baricate della “fede”, fa’ er baciapile la domennica matina
Su’ moje (perché su moje è a tutti i criteri) nun pesa sur bilancio familiare

Vorrei vedelli quelli che parleno da maestri de vita sui giornali
Se la vita la vivessero davero, come ..tanto pe’ ddì la storia de le staminali
Me piacerebbe da sape’ se servissero a ‘na fija loro che c’avrebbero da di’
Ma questa è ‘n antra storia e ne riparleremo a tempo debbito pe’ mo la chiudo qui.

venerdì 4 ottobre 2019

Orme




C’è un sottile velo dietro i mei passi
Polvere dei giorni passati all’indietro si perde
Posso distintamente vedere le mie orme
Impresse nei giorni trascorsi, ma non tutte.
Pochi metri, pochi giorni poi tutto si confonde
Orme si sovrappongono ad orme non mie

Miei passi si accompagnano a passi d’altri.

Altri che han percorso con me strade e giorni e notti
Orme che testimoniano, nel tempo impresse
Che quel che ricordo non è sempre un sogno.
Passi che disegnano la traccia della mia vita
E quella di chi ha voluto o scelto o per caso
Condividere con me momenti o giorni o anni


Orme di amori, orme di amici veri e di falsi amici
Quelle lente di mia madre e delle mie nonne
Quelle che, allora, sembravano grandi di mio padre
Quelle veloci dei miei fratelli in riva al mare
Orme più piccole, che vedo crescere, delle mie figlie
Orme leggere di passanti passati


Orme sulla sabbia, orme sulla strada
Orme di montagna, orme impossibili nell’acqua
Orme sulla neve, orme nella memoria
Orme momentanee di chi legge le mie parole
Orme di presenze e sentimenti che lasciano
Segni indelebili che hanno scritto la mia storia


E la ricorderanno finché qualcuno potrà vederle.
Poi la memoria o il vento ineluttabile del tempo
Cancelleranno orme su orme, alcune già perse
Altre condannate ad essere perse nei giorni futuri
Segnando il destino al quale non ci rassegniamo:

Essere temporanei in un mondo che crediamo eterno.
Essere vivi finché qualcuno sai di noi
Finché qualcuno ci ricorda.


Il resto è polvere.

giovedì 3 ottobre 2019

Cani e Gatti


Ho sempre preferito avecce ‘n casa ‘n gatto
Piuttosto che decide de pijiamme ‘n cane
Lo so che ‘r mejio amico che ce poi d’avè e questo è ‘n fatto
E che a vorte ‘r gatto è  paraculo te viè vicino solo se c’ha fame

Nun perché c’abbia quarcosa contr’ a Fido e soci
Ma ‘nzomma se ‘n cane è troppo piccolo fa ride tutti quanti
C’hai presente ‘ste razze strane ‘stì buffi ‘ncroci
Che nun capischi ‘n do’ stà ‘r dietro o ‘n do’ sta ‘r davanti?

Se ‘nvece ‘r cane è troppo grosso ‘n genere te sbava
Sbatte co’ ‘a coda dapperttutto, abbaija e se je ggira
T’ariva co’ ‘a lingua ‘n su pe’ ‘r naso e poi te lava
E nun capischi s’é lui che te porta a spasso pe’ quanto tira.

‘nsomma, portalo ar parco, fajie fa’ ‘n giretto
Me riccomanno tiello bbene che nun combini guai
Poi lui se scatena a core pe’ du’ ore come un matto
E tu stai lì pe’ controllallo che co’ tu fijio nun lo faresti mai.

Voi mette Micio? Se ne sta bbono su ‘n de la poltrona
Dorme, ar massimo stiracchia quarche zampa
Se lecca tutto e se pulisce così alla bbona
Te guarda co’ l’occhi mezzi chiusi e ccosì campa

Se fa l’affari sua e nun accetta c’ ‘o comanni
C’ha ‘r carattere che c’ha e nun lo cambi mica
Se struscia solo se je va, e vive senz’affanni
Così vive tranquillo senza fa’ rumore né fatica.

Te tiene cardo quanno stai ‘n portrona
E co’ le fusa te tiene compagnia
Se sposta de quer tanto se è la vorta bona
Che je riempi la ciotola de quarche leccornìa

E poi alla fine te guarda co’ quell’occhi verdi
Te s’avvicina, se struscia e parte un miao
Come pe’ ditte: “amico nun lo sai tu che te perdi
A nun esse’ nato gatto” poi se ggira e co’ la coda te fa ciao.

venerdì 26 ottobre 2018

Il tuo futuro è il passato di domani


Ognuno ha il suo passato,
E non solo gli ieri che puoi contare
O tutti quelli che non ricordi più
tutti giorni perduti a trascorrere il tempo
Come se il tempo non avesse il suo prezzo
Come se il prezzo pagato non lasciasse una scia

Centinaia di occhi e bocche
Hanno scritto nel tuo DNA
Quello che sei oggi.

Migliaia di mani e piedi
Hanno percorso questa terra
Per arrivare al tuo mattino
E a quello che i tuoi occhi
Guardano la sera mentre
il sole tramontando
Se ne va a svegliare albe lontane

Ognuno ha il suo destino
Scritto nel palmo della sua mano
Inciso nel sangue e nel cuore

Il tuo destino viene da lontano
Viene dalla notte dei tempi
Dall’uomo che si unì alla sua donna
Viene dalle mani di quell’uomo
Che non fu ucciso in battaglia
E che tornò da sua moglie
Per generare i suoi primi figli

Ognuno ha il suo futuro
Scritto nei giorni che percorri
Graffiato dalle scelte che compi

Il tuo destino non è solo il tuo futuro
Che cerchi di scoprire ogni mattino
Ma quello che sconosciuti a te
Sapranno essere il loro passato
Senza sapere il tuo viso
Senza sapere la tua voce e la tua risata
Senza sapere cosa ami oggi o amavi ieri

Ma sapendo che è a te che devono il loro quotidiano
Sapendo che è a te che devono il colore degli occhi
Sapendo che una parte di te rimarrà eterna grazie a loro

Così non ti resta che vivere tutto quello che puoi
Non ti resta che amare tutto quello che vuoi
E aprire gli occhi mentre si avvicina la notte
Senza chiedere altro che quando arriverà il giorno